domenica 23 novembre 2014

La porta socchiusa

Riaprire questa schermata vuota, dopo tanti mesi, mi fa un certo effetto. Perché prima ero di casa, qui. Mentre ora mi sento un po' come quando tornando in un posto da cui ci si era  allontanati  molto, si stenta a riconoscerne i dettagli. 
Sono di passaggio. So che non tornerò qui costantemente, come prima. Ma so anche che questo posto esiste, e per me è confortante sapere che qualcuno, una o due persone, verranno a sbirciare  attraverso la porta socchiusa. 

Non so perché sia stato stasera. Una qualsiasi domenica di Novembre che mi è venuta voglia di tornare. Forse perché i miei vicini oggi hanno messo le luci di Natale, o per quella atmosfera che ha sempre Novembre, che ti fa venire voglia di coperte e di casa, ma anche di magia, di belle energie da liberare nell'aria, di ricevere notizie inaspettate da qualcuno a cui ogni tanto si pensa, e quando avviene il cuore è un po' più caldo, un po' più leggero.
Sono in viaggio. Non fisicamente. Non quel tipo di viaggio. Ma i cambiamenti che sto affrontando sono di certo un'avventura che pretende strada, cuore, fatica. E se prima questa possibilità mi spezzava il respiro, mi toglieva il fiato, ora che è metabolizzata, ora che finalmente me la sto concedendo davvero, so che non posso tornare indietro. Perché sento che dare ascolto alla mia forza interiore significa evitare un senso di morte spirituale, una perdita di energia che mi lasciava smarrita e tramortita. 

Quello che sto imparando, è un recupero di me, della mia parte più creativa e vera, che avevo abbandonato per senso del dovere, per adeguarmi ad un sistema di vita in cui non mi sono mai riconosciuta.
Quello che sto imparando, è la capacità di entrare in contatto col silenzio che mi abita, da cui arrivano le intuizioni, i bisogni e i desideri, quelli veri. Ognuno di noi ce l'ha questo silenzio. E molto spesso spaventa, perché più assordante di qualsiasi altro rumore.
Ma ho anche imparato che quando si comincia ad aiutare sé stessi davvero, molti altri aiuti, inattesi ed insperati, si trovano lungo la strada. 
Ho imparato che  il recupero di sè stessi è fondamentale, una priorità assoluta, per rispetto anche degli altri, di quelli che ci stanno intorno. Negarselo significa mentire non solo a noi, ma anche a loro. Questo mondo è vasto e molto, molto spietato. Ci si può permettere di perdersi in lui solo se siamo in grado di non perdere noi stessi.  Recuperarci non significa cambiare tutto ciò in cui abbiamo creduto o che abbiamo costruito, ma cominciare ad osservarlo con onestà. E partire da lì. Io sto recuperando un po' di questa integrità, liberandomi dalla trappola delle false virtù. 

Cerco ogni giorno l'energia, il contatto, la forza, la speranza. Ci sono giorni di abbondanza e altri di siccità. Ma è la natura, è la vita. Ed io ora riesco ad apprezzarla come merita.

Così, lascio ancora la porta socchiusa, perché è Novembre, coi suoi colori spezzati e quell'odore di legna bruciata e mi piace che entrino qui.

Lascio la porta socchiusa, perché potrei tornare anche domani, o tra un mese, ed aver bisogno di una vostra stretta di mano.

Lascio la porta socchiusa, perché forse anche voi potreste aver voglia di passare a trovarmi. 




venerdì 28 marzo 2014

Affacciarsi

Fare capolino. Come le viole. Come le margherite che prima sbocciano timidamente e poi  esplodono in giardino. Mi rendo conto di quanto tempo è passato soltanto guardando la data dell'ultimo post. Davvero tanto. Ma per me questo tempo è trascorso in fretta. E' stato intenso, energico, ritemprante. Il mio cambio di vita si è rivelato più impegnativo del previsto, ed ora, almeno per questo tempo presente, sento di stare facendo esattamente quello che voglio. Progetti creativi, che per lungo tempo hanno abitato i miei pensieri, finalmente prendono forma nelle mie mani. Ci sto lavorando con impegno, senza sapere dove questo mi porterà. Ma per una volta mi lascio andare, non ci penso e mi godo il momento. Sto conoscendo gente nuova, imparando a vivere con meno, molto meno. Perchè un lavoro precario ti costringe, è vero, ma da un lato ridimensiona anche la prospettiva del troppo e del superfluo. Così, anche qui, poche parole per raccontare questo momento che nonostante le difficoltà è pieno e felice. Credo nella cultura, nell'arte e nella passione che nutre l'anima e non è fatta di cose materiali, ma di quella luce che ti anima gli occhi, e quella voglia di sfidare il mondo che ti fa alzare il mattino. Ho deciso di crederci fino in fondo, dopo anni di tentennamenti. Credo nell'impegno, nella dedizione e nel talento. Credo che ognuno debba sentirsi in diritto di perseguire i propri sogni, per quanto strani possano sembrare. Credo nella possibilità di cambiare le cose ed ora che è primavera, e tutto intorno a me cambia, ci credo ancora di più.  

Enjoy


Source: Serendipitouswanderings





lunedì 13 gennaio 2014

Piccoli fuochi

A volte si incappa in piccoli tesori che stanno nascosti fra pagine quiete. Pagine che non gridano in modo sfacciato. Che non reclamano attenzione da alcuna vetrina chiassosa. Che vivono di intima intensità e sottigliezze. Che sanno stare sospese in attesa, magari per anni. E poi ti raggiungono un inverno, dalla profondità del loro saper abitare l'attimo presente.


Scrivimi.
Mandami un piccolo fuoco,
una striscia di cielo,
una schiera
di sillabe,
un itinerario veloce, matite,
i tuoi confini, una mappa.
Scrivimi.
Uno spartito di adagi
e silenzi,
il sapore di luce
delle parole,
la distanza di un gatto, il mare,
il perimetro dello sguardo.
Un assaggio, un graffio
di solitudine pungente
come la pioggia alla fermata degli autobus,
un calendario propizio, il fruscio
del vestito, una lampada,
un pettine, confondimi
in un labirinto di luci.
Vedi,
mi aggrappo ai dettagli, annaspo
in un’ansa di vuoto,
smarrisco dicembre, dimentico
i pomeriggi in città,
le finestre.
Ma tu rovescia il mio buio, affrettati
a esistere.
Scrivimi.


(Un piccolo fuoco , Paolo Polvani, Compagni di viaggio, Fonéma Edizioni)



Muffin di Kamut integrale alla crema di fave e ricotta

Cosa serve per 8-9 muffin
100 gr. di fave secche spezzate
un ramo di rosmarino
2 uova
3 cucchiai di ricotta
Olio extravergine d'oliva d.o.p., possibilmente fruttato
1/2 cucchiano di cremor tartaro
una punta di cucchiaino di bicarbonato
sale
scorza di un limone non trattato
2 cucchiai di farina di kamut integrale

Cuocere le fave secche in circa 500 ml di acqua salata fino a che non saranno sufficientemente morbide da poterle frullare insieme ad un cucchiaio di olio. Fare attenzione a non aggiungere troppa altra acqua in cottura, perchè frullando deve risultare una crema non troppo liquida. Una volta terminata la cottura, lasciare intiepidire e rassodare e quindi passare al pimmer. Sbattere le uova con la ricotta schiacciata e unire la farina setacciata, il cremor tartaro e il bicarbonato, il rosmarino tritato molto finemente e la scorza del limone. Mescolare bene, aggiungere la crema di fava frullata perfettamente, un altro goccio di olio e aggiustare di sale. Il composto, che dovrà essere piuttosto morbido, si può quindi versare negli appositi stampi rivestiti di pirottini di carta e passati in forno (statico) a 170 gradi per circa mezz'ora. Sono ottimi serviti tiepidi
 

martedì 7 gennaio 2014

Nella mia mano

Si ritorna. Dopo giorni spesi a ritrovarsi, a regalare auguri ad un Mondo ebbro di festa  che ha girato ancora più veloce su sè stesso. Per dimenticare forse i problemi, le angosce e le brutture. 
Chissà se è più leggero o solo più stanco.

Per conto mio, sono sazia. Ho ascoltato musica su vecchi dischi.  Ho dormito su nuvole di parole stinte. Ho guardato tramonti sconsiderati.

Ho scritto, molto, ma non qui. Di me, delle cose e del tempo. Ho scritto su un quaderno di segreti, che vorrei riuscire a raccontare. Ho scritto di appuntamenti a cui non voglio mancare. Di come i bordi indefiniti dei luoghi possono assumere quella luce dolce e pallida che rischiara nel giorno e ti fa luce dentro. 

Di quanto abbiano ripreso a piacermi le mie mani. Di come hanno ricominciato a tenermi, accompagnandomi nella purezza di un gesto semplice e magico, come un disegno o una parola scritta a matita. Di come stiano esplorando lo spessore e la ruvidezza delle emozioni dei giorni, mentre lo scorrere avido delle dita sul foglio scandisce i miei pomeriggi e le mie mattine. 

Di come tutto questo tenere nel palmo il futuro mi sia mancato, negli anni spesi a cercare di essere pratica e produttiva. Mi accorgo di come sia tutto solo un artificio, se lo spirito non ci accompagna. E ringrazio di essere qui adesso, come sono. E non il 7 gennaio di un anno fa.



Baccalà glassato al melograno

Il baccalà è un pesce che amo molto. Amo la sua consistenza soda, la sua versatilità, e la capacità di non essere invadente, se glielo si permette. Amo le sue origini, la tradizione che ha fatto scuola e il fatto che nonostante tutto, riesca ad essere protagonista anche di piatti  attuali ed eleganti.



Cosa serve per due:
350-400 grammi di baccalà dissalato.
Un melograno.
Aceto balsamico di ottima qualità.
Mezzo cucchiaino di zucchero di canna
Mezzo bicchiere di latte.
Olio d'oliva extravergine
Pepe nero macinato fresco.

Ridurre in tranci il pezzo di baccalà perfettamente dissalato. Far rosolare in olio d'oliva bagnando con il latte e far cuocere a fuoco moderato, facendo attenzione a girare i  tranci affinchè non si sbriciolino durante la cottura. Dopo circa 30 minuti, il pesce dovrebbe aver assorbito tutto il latte e dovrebbe risultare cotto. La particolarità delle sue carne è che rimane comunque piuttosto sodo. Preparare a parte una glassa spremendo i chicchi di melograno (tenendone da parte alcuni per guarnire). Filtrare il succo dai semini ed unirlo a 2-3 cucchiai di aceto balsamico, da far andare a fuoco vivace in una padella antiaderente, con un mezzo cucchiaino di zucchero di canna, fino a che il liquido non diventerà sciropposo. Si può quindi procedere ad impiattare il baccalà tenuto in caldo, glassandolo con lo sciroppo di melograno, un filo d'olio perchè non risulti troppo asciutto e ultimando con una spolverata di pepe nero macinato al momento.

lunedì 16 dicembre 2013

I cambiamenti e le tenerezze

E così è arrivato Dicembre. E con lui l'Avvento, il countdown, il momento dei resoconti. La notte più lunga, la giornata più breve. La magia dell'attesa, l'euforia della fine. La paura di tirare le somme, l'urgenza dell'inizio. E' arrivato il momento di cambiare vestito. Di vedere se l'abito che hai modellato ti sta. Di indossare una ghirlanda di stelle, ognuna con un sogno attaccato. Di uscire fuori e riscaldarsi alla piccola luce di ciò che nasce. Che sia buono, cattivo, duro, eclatante, ineluttabile. L'importante è prendersi il rischio. L'importante è accogliere il cambiamento come una crescita.

Anche Pandispezie e Margot lo sentono. E mi accompagnano nel Natale e nel Nuovo Anno abbracciando questa veste nuova che un po' rispecchia il percorso degli ultimi tempi: pulizia, studio e meditazione, ma anche ironia e delicatezza, perchè ci vuole pazienza con sè stessi, per capire i propri limiti e le proprie forze. Non costa poco e non è una passeggiata. Ma è il mio regalo di Natale per me. E in fondo anche per gli altri che mi stanno vicino. Vorrei fosse un regalo anche per chi passa di qui, mi legge ogni tanto e pensa, come me, che ogni tanto valga la pena di mirare alla luna.

Enjoy the tenderness


Tenerina Bianca ai lamponi, una nuvola di golosità

Ho perfezionato questa ricetta nel tempo, per trovare il giusto equilibrio tra cioccolato bianco, burro e zucchero e ottenere un risultato che non fosse eccessivamente dolce e pesante, perchè personalmente non amo i dolci troppo burrosi o zuccherini. Il contrasto acido con i lamponi freschi è fantastico. Posso solo dire di aver raggiunto, per il mio gusto, il risultato ottimale, e che ne è valsa la pena. 





Cosa serve:
200 gr. di cioccolato bianco di ottima qualità
3 uova
70 gr di zucchero bianco
3 cucchiai di ricotta vaccina
3 cucchiai di farina
30 gr. di burro
1 cestino di lamponi freschi

Separare i tuorli e gli albumi e montare questi ultimi a neve ferma. Sbattere i tuorli con lo zucchero fino a farli diventare spumosi, aggiungere il burro fatto sciogliere, la ricotta e il cioccolato fuso. Mescolare molto bene e solo alla fine unire la chiara d'uovo a neve, mescolando delicatamente per incorporare aria e montare il composto. Versare in uno stampo medio o piccolo (per avere una torta più alta) imburrato e infarinato e solo alla fine unire i lamponi freschi. Se volete che non sprofondino tutti sul fondo occorre infarinarli leggermente. Infornare a 175 gr. per 30-40 minuti, forno statico. Risultando molto morbida e friabile, conviene sformare una volta tiepida o quasi fredda. Cospargere con pochissimo zucchero a velo..